mercoledì 10 luglio 2013

Stefano Calvagna colpisce ancora con "Rabbia in pugno", storia di una vendetta in un melodramma noir all'italiana

Stefano Calvagna colpisce ancora, a nemmeno dieci giorni dall’uscita di “Multiplex”, esce ora anche “Rabbia in pugno”, realizzato proprio durante gli ‘arresti domiciliari’, dopo la disavventura giudiziaria di due anni fa. Se il regista non demorde è perché i suoi film se li produce da solo, non senza difficoltà, ed ora se li distribuisce anche con la Poker Entertainment.
Stavolta siamo nei dintorni del ‘poliziottesco’ nostrano anni Settanta e soprattutto alla riscoperta di una periferia romana praticamente scomparsa dal nostro cinema contemporaneo, diviso tra commedie e drammi ambientati soprattutto tra le classi media ed alta. Storia di una drammatica vendetta, tra cupo mélo e noir d’azione: a Valerio (Claudio Del Falco), poliziotto campione di kick boxing, la vita sembra andare per il meglio: ha un rapporto fraterno con l’amico Fabrizio, e l’amore incontrastato di Valentina (Gaia Zucchi), giovane attrice da cui aspetta un figlio. Una sera, mentre lui è sul ring, Valentina ha un incontro in discoteca con un losco produttore cinematografico, Sergio Bruschi (un inedito ed efficace Maurizio Mattioli), che le promette un ruolo da protagonista, ma perde la vita per un arresto cardiaco provocato dall’ignara assunzione del GHB, la cosiddetta ‘droga dello stupro’. La polizia, nella ricerca del colpevole, brancola nel buio e Valerio, accecato dalla rabbia e dall’impotenza, decide di farsi giustizia da sé.
“L’idea è nata proprio da Claudio (il protagonista ndr.) che me l’ha proposta quando da un anno non potevo uscire di casa – esordisce l’attore-produttore e regista -, e ho deciso di girarla tutta all’interno della palestra. La sceneggiatura era un po’ datata e l’abbiamo rimessa insieme con Giovanni Galletta. In quel periodo avevo poca lucidità, ma è stato un film per la libertà. Certo non è stato facile perché non tutti erano disposti a sottostare a quella situazione particolare, al piano di riprese, visto che ad un certo punto arrivavano i carabinieri per farmi firmare, oppure dovevamo interrompere. E alcuni attori già impegnati si sono fatti da parte, e ho dovuto sostituirli con amici e componenti della troupe, mentre la palestra in cui giravamo, anche le sparatorie, era in piena attività! Tanto che alcune persone pensavano c’è Calvagna e sparano pure.” “Sono da dieci anni a Roma – ribatte Galletta – e ho sempre subito il fascino della figura di Stefano, sia come regista che come attore. Un giorno, quando avevo finito il mio film da regista, sono stato contattato da sua moglie che mi ha proposto di scrivere la sceneggiatura e raccontare questa storia. Mi sono divertito a scoprire dei lati del carattere umano che non avevo affrontato prima, come la violenza e l’ironia. E a film finito mi sono accorto di aver influenzato certi momenti introspettivi”. “E’ stato difficile farlo – riprende Calvagna -, figurarsi distribuirlo, anche perché i distributori non rispondono più al telefono, per fortuna sono arrivati tempi migliori grazie a Tonino Abballe con cui è nata una sinergia distributiva, non solo, tanto che il mio prossimo film sarà dedicato proprio a lui. Noi lavoriamo anche 24 ore, perché questo è il più bel lavoro del mondo e per farlo devi amarlo, voglio farlo col cuore e per sempre anche se non avrò la Lamborghini”.
Il film è dedicato a Olimpia. “A mia madre – dichiara Del Falco -, Olimpia Cavalli che ha fatto più di sessanta film anche con Totò e Vittorio De Sica (“I due marescialli”). E’ morta l’anno scorso, aveva l’Alzheimer. Sono commosso dal fatto che Stefano abbia voluto dedicarlo a lei, porto ancora il suo orologio al polso. Io ho debuttato a 14 anni in ‘Ultrà’ e credo che mia madre sarebbe contenta che abbia voluto continuare a fare il suo mestiere, il mio lavoro. Stefano è un grande amico e il mio regista preferito perché ti fa sentire a tuo agio, ti corregge e ti fa fare quello che vuole lui. Qui ha fatto recitare tutti”. “A me ha fatto fare quello che mi riesce meglio – ribatte il boxeur Michele Verginelli -, combattere. Recitare anche è stata una bella fusione, fare l’attore non è la mia aspirazione, ma se capita, ben venga”. “Io ho visto oggi il film per la prima volta – afferma Gaia Zucchi – e mi è piaciuto molto, lo trovo molto poetico, sono emozionata. Lavorare con Stefano è stato divertentissimo perché ti lascia libera. Ti dà delle indicazione e vai… Lui è uno che ama gli attori, e mi sono sentita protetta. Mi piace il mio ruolo e trovo bellissima la frase iniziale ‘la vendetta è il modo migliore di farsi giustizia’, mi ci trovo d’accordo. Non sapevo nulla sulla scena (lo stupro ndr.), non è stata facile, però Mattioli è stato simpaticissimo e delicato” “E’ una Roma che non viene più rappresentata – dice il regista a proposito delle periferie -, abbiamo girato a Capannelle e cercato di raccontare il quartiere. In passato lo hanno fatto registi che non erano di Roma, Pasolini insegna, ma Caligari anche. Credo proprio che ‘L’odore della notte’ di Claudio Caligari sia stata ultima volta. Io appartengo a quella Roma popolare e ne sono orgoglioso”.
“Moroni è il maestro di tutti – dichiara Del Falco su Agostino Moroni -, soprattutto per me che ho perso mio padre giovanissimo, e ci ha insegnato l’arte del combattere. Persino a Michele (Verginelli ndr.) che è nato col lancio del giavellotto. Lo amiamo tutti”. “E’ stato molto divertente – chiosa Moroni -, il divertimento è la prima cosa in ogni attività, se non c’è vuol dire che non ci sono stimoli. Ma l’importante è che ogni stimolo sia intrinseco e non estrinseco, cioè deve venire da dentro. La voglia di fare esterna serve pochissimo se non ci sono stimoli interni”. “Stefano è ormai un amico – conferma Cristiana Esposito che è la poliziotta Elena -, mi è piaciuto perché nel film ci comportiamo un po’ come nella vita di tutti i giorni, c’è drammaticità, combattimento, si ride, si piange. Io sono portata per i ruoli d’azione, mi piacerebbe sempre interpretare ruoli così. Lei è una donna forte e cerca di portare Valerio sulla strada giusta, dove c’è la verità. E Stefano è un regista che porta sullo schermo una verità non patinata, perciò molto più naturale”.
“E’ stato un modo di lavorare molto divertente – ribatte Valeria Mei che è la giornalista Laura – tanto che il mio ragazzo sul set ha detto che sembravamo dei ragazzini. Infatti, nella difficoltà ci si avvicina e ci si ritrova, anche umanamente, tanto che con mezzi sotto zero credo che Stefano abbia raggiunto un buon risultato”. “Ricordo di aver visto ‘Le jene’ all’Augustus, in un giorno di caldo soffocante, ed eravamo tre persone al massimo – afferma il regista sulla definizione di Gian Luigi Rondi “il Quentin Tarantino italiano” -, ne rimasi colpito perché allora nessuno lo conosceva e lo trovai geniale. Un film su una rapina che non si vede mai. E la mia opera prima, quando andavano per la maggiore le commedie di Pieraccioni, era proprio su quattro balordi che facevano una rapina. Sono stato colpito dal paragone, ma il mio cinema non ha molte cose in comune con quello di Tarantino, forse i dialoghi e il coraggio di non fermarsi di fronte a scene efferate, e poi anche lui si è ispirato ai nostri Castellari, Fulci e Margheriti”. “Sono difficilissimi entrambi – dichiara Del Falco sul fare l’attore e/o lo sportivo – ma differenti. Per fare il bravo attore ci vuole spontaneità e sentimento, riuscire a esprimersi senza parole, ma bisogna un po’ nascerci. Io sono naturalmente ‘molto espressivo’, tanto che Stefano mi ha costretto a fare ‘l’ubriaco sobrio’. Si può fare lo ‘sportivo della domenica’ che è più facile, ma per farlo seriamente ci vuole allenamento”. E sulle polemiche tra giornalisti e registi, Calvagna conclude:
“Bisogna evitare i pregiudizio, io ho sempre fatto le conferenze stampa su miei film, su questo non mi sono mai nascosto, li faccio uscire, vedere e continuerò a farlo perché il confronto con la stampa è fondamentale, e alla fine è utile ad entrambi. Sul digitale devo dire che ero un po’ traumatizzato da un’esperienza che mi sembrava un filmino da matrimonio, ma poi mi sono ricreduto ed è stata una grande sorpresa dal punto di vista visivo ed economico. Ovviamente bisogna avere un bravo direttore della fotografia (qui Dario Germani ndr.), però ora hanno messo una tassa anche sull’uso di attrezzature digitali e in questo modo penalizzano soprattutto chi fa cinema indipendente, non chi ha avuto il finanziamento dal Ministero e/o il sostegno di una major. E poi nessuno se ne accorge che ‘Multiplex’ ha avuto una media per sala più alta di film come ‘Blood’ e ‘Doppio gioco’.” José de Arcangelo

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