giovedì 24 novembre 2016

Oliver Stone racconta la storia kafkiana ma veramente realistica di "Snowden" in un film appassionante e coinvolgente

Presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma 2016, arriva nelle sale l’ultima fatica cinematografica del regista tre volte premio Oscar, Oliver Stone, “Snowden”, ritratto personale e coinvolgente
di una delle figure più controverse del XXI secolo. Sempre impegnato, civilmente e artisticamente, Stone ricostruisce obiettivamente e senza retorica la storia dell'uomo responsabile della cosiddetta più grande violazione dei sistemi di sicurezza nella storia dei servizi segreti americani, rivelando così anche le trame e i segreti del potere, non solo politico.
Un thriller contemporaneo, tra suspense e tensione, tra verità (rivelata da un ‘uomo comune’) e menzogna (di un potere globale che ci controlla tutti) che difficilmente lascerà indifferenti gli spettatori. E, se il regista si affida ad una narrazione tanto tradizionale quanto sobria, lo fa perché è una storia vera anche quando sembra incredibile, un episodio che ci induce a riflettere sul sempre più sottile confine tra pubblico e privato, abuso di potere sia politico che economico. E non deve scoraggiare il pubblico la durata (134’) perché il film scorre meravigliosamente.
Ecco la storia veramente kafkiana – come la definisce lo stesso regista – ma vera e vissuta: nel 2013 Edward Snowden (un sorprendente Joseph Gordon-Levitt) lascia con discrezione il suo impiego alla National Security Agency e vola ad Hong Kong per incontrare ‘clandestinamente’ i giornalisti Glenn Greenwald (Zachary Quinto della nuova saga di “Star Trek”) e Ewen MacAskill (Tom Wilkinson), e la regista Laura Poitras (Melissa Leo) – autrice del documentario premio Oscar “Citizenfour” sul caso -, allo scopo di rivelare i giganteschi programmi di sorveglianza informatica elaborati dal governo degli Stati Uniti.
Consulente esperto di informatica, legato da un impegno di massima segretezza, Ed ha scoperto che una montagna virtuale di dati viene registrata tracciando ogni forma di comunicazione digitale, non solo relativa a governi stranieri e a potenziali gruppi di terroristi, ma anche a quella di normali cittadini americani. Non solo. Disilluso rispetto al suo lavoro nel mondo dell'Intelligence, Snowden raccoglie meticolosamente centinaia di migliaia di documenti segreti per dimostrare la portata della violazione dei diritti in atto. Abbandonando la sua amata, Lindsay Mills (Shailene Woodley), Edward trova il coraggio di agire spinto dai principi in cui crede.
Stone racconta, con la passione e l’impegno che lo contraddistinguono, la storia di Snowden, analizzando le motivazioni che hanno trasformato un giovane patriota (congedato dai Corpi Speciali dei Marines per motivi di salute, soffre di epilessia) ansioso di servire il suo Paese in uno storico ‘delatore’ (quindi, traditore), e ponendo domande anche provocatorie riguardo a quali libertà saremmo disposti a rinunciare per consentire ai nostri governi di ‘proteggerci’. E a riflettere, soprattutto ora, che al potere in America ci sarà Donald
Trump. Quindi la storia di un piccolo grande eroe dei nostri tempi che, con coraggio e altruismo, ha messo a repentaglio la sua carriera e la sua esistenza. Nell’ottimo cast anche Rhys Ifans (Corbin O’Brian), Joely Richardson (Janine Gibson), Robert Firth (Dr. Stillwell) e Nicolas Cage (Hank Forrester). La fotografia è firmata da Anthony Dod Mantle, il montaggio da Alex Marquez e le musiche da Craig Armstrong e Adam Peters. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 24 novembre distribuito da Bim HA DETTO STONE ALLA FESTA DEL CINEMA
“Credo che l’informazione che ci ha rivelato Snowden sia molto significativa ma noi americani non l’abbiamo capito fino in fondo. Ci vuole del tempo per comprendere una storia così complicata, imponente, anch’io ci ho messo due anni e mezzo – e due o tre incontri con lui - per capire e far capire al mio paese che è una storia che riguarda tutto il mondo. Non si tratta solo di sorveglianza, e ho cercato di capire e di spiegarlo, anche se il tema non interessa alla maggior parte degli americani perché chiunque riveli segreti sull’esercito o sul governo non è ben visto. Non so se sono riuscito a renderlo sufficientemente chiaro, ma nel 2013 Snowden non era popolare negli Stati Uniti perché rivelare segreti del genere viene considerato un comportamento scorretto, e ancora oggi c’è chi lo confonde con Assange oppure non sa nemmeno chi sia o crede tu stia parlando di ‘neve’ (snow in inglese ma anche cocaina ndr.)”.
“Infatti, abbiamo avuto qualche problema in America perché nessun studio ha voluto produrre il film, perciò sono venuto in Europa e ho ottenuto finanziamenti in Francia e in Germania, e l’ho girato in parte a Monaco anziché a New York dove il produttore sapeva di trovare degli ostacoli. Due settimane negli Usa, una tra Hong Kong e Mosca. E’ stato un film complicato da realizzare, soprattutto in fase di sceneggiatura (scritta con Kieran Fitzgerald ndr.), per far capire e vedere sul grande schermo questa storia, trovare il modo giusto di raccontarla pur rispettando la verità e la realtà”.
“In America il film è stato accolto bene da alcuni, malissimo da altri – precisa sulle critiche – e il pubblico non era così interessato come credevamo, perché non è una storia di spionaggio convenzionale, senza sparatorie né inseguimenti, ma molto realistica. Il mio consiglio è di fare sempre attenzione, perché apparentemente sappiamo quello che succede, ma siamo tutti sorvegliati, e in futuro non c’è limite, saremmo tutti schedati. Dicono che la sorveglianza di massa viene usata perché andando ‘random’ puoi intercettare le telefonate casuali ma non è così, è ridicolo, se fosse così sarebbero risolti tutti i casi di terrorismo. Sull’11 settembre sapevamo cosa facevano i dirottatori (l’addestramento del pilota, collaboratore di Bin Laden), lo sapeva la NSA e non passò le informazioni all’Fbi che lo scoprì da sola ma non fece niente, e quando queste informazioni arrivarono a Washington si persero, perché alla Casa bianca non ascoltano. Lo scopo non è colpire il terrorismo, ma osservare tutto e tutti, promuovere la propria causa in Iraq come in Siria, dal Brasile e il Venezuela alla Libia, non guerre ma cambiamenti di regime”. José de Arcangelo

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