venerdì 23 dicembre 2016

Quando la passione non coincide con il talento (vocale), la vera storia di "Florence" diventa monumento per l'attrice-diva Meryl Streep

Un film su misura per Meryl Streep, ogni anno con un ruolo da Oscar, originale, fuori dalle regole, spesso unico, anche quando si tratta di storie vere, dolci o tragiche, divertenti o malinconiche, a volte persino in camei (“Suffragette”). Ora l’attrice-diva è la protagonista di “Florence” – presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma -, diretto dall’inglese Stephen Frears e assecondata da un inedito Hugh Grant. Una commedia sulle note della musica classica visto che anche la vera Florence era prima di tutto un’appassionata mecenate e, secondo lei, anche un’ottima cantante.
New York, 1944, in piena Seconda guerra mondiale: l'ereditiera Florence Foster Jenkins (titolo originale) è la protagonista dei salotti dell'alta società. Mecenate generosa, patita della lirica, Florence, con l'aiuto del marito e manager, l'inglese St. Clair Bayfield (Hugh Grant) – nonostante la mancanza di voce -, intrattiene l'élite cittadina con incredibili performance canore, di cui lei è naturalmente la star. Quando canta, però quella che sente nella sua testa come una voce meravigliosa, è per chiunque l'ascolti orribilmente ridicola, stecche incluse.
Protetta dal marito, dal pianista (ottimo Simon Helberg) e dalla sua ‘corte’ piacente, Florence non verrà mai a conoscenza di questa terribile verità. Solo quando Florence deciderà di esibirsi finalmente davanti ad un pubblico vero in un concerto alla celeberrima Carnegie Hall, senza invitati controllati, St. Clair capirà di trovarsi di fronte alla più grande sfida della sua vita. E, nonostante le sue bugie e le critiche nascoste, Florence scoprirà una dura realtà che, forse, non voleva accettare: la sua ossessione per la musica classica non ha mai coinciso con il suo talento vocale, anzi con la sua assoluta mancanza di talento.
Infatti, Frears – che tornato in patria aveva firmato due opere vicine al capolavoro come “The Queen” e “Philomena” – non tradisce il suo stile, ma si accontenta soprattutto di giocare sul binomio passione e talento appunto, per mettere in risalto l’ingenuità e la sincerità di una donna ossessionata dalla sua passione per la musica classica che non riesce (o non vuole) a vedere l’imperfezione della voce, trasformandosi in una sorta di fenomeno da baraccone. E sul rapporto di reciproca fiducia cieca col più giovane secondo marito, un uomo innamorato che la protegge dalla ferocia della cruda realtà (con un pubblico controllato e critici corrotti), anche quando lui stesso vive con la più giovane ‘fidanzata’ (Rebecca Ferguson).
Quindi, una commedia ispirata a un personaggio veramente esistito – che due anni prima ha dato vita al francese “Marguerite” con la brava Catherine Frot, ambientato durante la Grande Guerra a Parigi, e più coinvolgente – ben costruita e meglio recitata, anche se la Streep secondo copione è ‘sottotono’ (vocale) ma rischia di andare sopra le righe in quanto a smorfie e mossette, volutamente appesantita e invecchiata dal trucco. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 22 dicembre distribuito da Lucky Red

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