giovedì 19 gennaio 2017

Riflessione filosofica e metafora del mondo in "Arrival" del film di fantascienza del canadese Denis Villeneuve con Amy Adams

Fantascienza e dramma esistenziale, comunicazione e pregiudizio, psicologia e filosofia, guerra e pace sono i temi affrontati da “Arrival” del canadese Denis Villeneuve, già apprezzato alla 73.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia - dove è stato presentato in anteprima mondiale per l’apertura -, anche per
l’interpretazione di Amy Adams. Il film ha avuto 8 nomination all’Oscar, tra cui Miglior Film, Regia e Sceneggiatura, ma non per lei che, quest’anno, ha avuto solo la candidatura al Golden Globe, poi non vinto, ma l’aveva avuto in passato per “Big Eyes” e ha ottenuto tante nomination e premi dalla critica americana. I riferimenti della nuova opera del regista di “La donna che canta” e “Sicario”, sono i classici della
fantascienza d’autore, dal “Solaris” di Andrej Tarkoskij allo Steven Spielberg di “Incontri ravvicinati del III tipo”, passando per le ultime opere di Christopher Nolan, soprattutto “Interstellar”, e alcuni sostengono anche il cinema di Terrence Malick. Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sulla Terra, per le successive investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall'esperta linguista Louise Banks (Adams), alle prese con l’elaborazione del lutto per la prematura morte della figlia, e dal fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy
Renner). Mentre l'umanità vacilla sull'orlo di una Guerra globale – in realtà sono arrivati altri Ufo (sorta di neri monoliti, però ovali, che rimandano a Kubrick) nelle capitali più importanti del mondo e qualcuno pensa di passare all’attacco senza chiedere spiegazioni -, Banks e il suo gruppo affrontano una corsa contro il tempo in cerca di risposte - e per trovarle -, la donna è costretta a fare una scelta (la ‘comunicazione’ diretta con gli alieni) che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella dell’intera razza umana.
Una sorta di metafora della nostra società contemporanea in cui apparentemente impera la comunicazione globale, ma in realtà le persone, i popoli – e chi per loro - continuano a non capirsi, a preferire lo scontro al dialogo, la guerra alla pace, nonostante tutti dichiarino pubblicamente di cercare la pace con ogni mezzo. Tra riflessione (filosofica) e scienza (didattica), “Arrival” coinvolge e incuriosisce lo spettatore, anche quando i rimandi e i flashback, a tratti, sembrano più un esercizio di stile che delle sequenze utili al
racconto. Villeneuve è un maestro delle riprese, ma non aveva bisogno di ribadirlo tanto da rendere più affascinante la messa in scena del contenuto. Però probabilmente era la sceneggiatura di Eric Heisserer, ispirata a “Story of Your Life” di Ted Chiang, a spostarsi spesso avanti e indietro nel tempo. Comunque si tratta sempre di un buon film che, in fin dei conti, tratta sul quanto sia difficile, ma necessario, comunicare e visto soprattutto dal lato umano, addirittura intimo, proprio come già in “Gravity” di Alfonso Cuaron e “Interstellar” di Nolan, appunto. Ottima cornice del direttore della fotografia Bradford
Young ed effetti speciali digitali messi al servizio della storia e non viceversa, come spesso accade oggi nel cinema hollywoodiano. Anche perché “Arrival” non è un blockbuster d’azione, anzi. Nel cast anche Forest Whitaker (colonnello Weber), Michael Stuhlbarg (agente Halpem), Mark O’Brien (capitano Marks), Tzi Ma (generale Shang), Julia Scarlett Dan (Hannah a 12 anni) e Frank Schorpion (Dr. Kettler). Il montaggio è di Joe Walker e le musiche di Johann Johannsson. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 19 gennaio distribuito da Warner Bros. Italia

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