giovedì 27 aprile 2017

Quattro donne nella Polonia del 1990 alla ricerca della libertà nell'amore in "Le donne e il desiderio" di Tomasz Wasilewki, Orso d'Argento per la Miglior Sceneggiatura alla Berlinale

“Le donne e il desiderio” del trentaseienne regista polacco Tomasz Wasilewski, è la sua opera terza,
vincitrice d Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura alla 66a. Berlinale. Un film complesso, dallo stile e dalla narrazione innovativi che però, richiede la massima attenzione allo spettatore e lo invita alla riflessione. Una sorta di ‘ronde’ (dal film omonimo di Max Ophuls) al femminile, amara e toccante,
raccontata in modo ellittico, su quattro donne (e un funerale) che affrontano il crollo del muro di Berlino e del regime comunista, alla ricerca della libertà perduta attraverso l’amore che diventa spesso sinonimo di sesso, soprattutto per i maschi, oppure alternativa alla mancanza di sentimenti veri. Nella Polonia del 1990, i venti del cambiamento soffiano con forza ed euforia verso un futuro incerto.
Quattro donne, apparentemente realizzate, decidono di reagire per prendere in mano le decisioni sulle proprie esistenze. Agata (Julia Kijowska) è moglie e madre ma non è felice e cerca una via d'uscita nell'amore (non ricambiato) per un sacerdote cattolico. Renata (Dorota Kolak) è un’insegnante, ormai sulla strada della pensione, attratta da Marzena (Marta Nieradkiewicz), una giovane vicina di casa che è stata
reginetta di bellezza e il cui marito è andato a lavorare in Germania. La sorella maggiore di Marzena, Iza (Magdalena Cielecka), è la preside della scuola in cui insegna Renata e ha una relazione con un medico, sposato e padre di una sua studentessa. Amori non ricambiati o traditi, ossessivi o irraggiungibili; speranza e delusione, lezioni di aerobica e di ballo, sensibilità e indifferenza in quattro storie intrecciate e raccontate parallelamente in un’atmosfera
gelida e oppressiva, sobria e malinconica, claustrofobica e squallida, segnate da un humour nero minimalista e da spunti da thriller. Corpi nudi e vestiti, depressi e stanchi, belli o sfatti, giovani e maturi offrono una visione tanto rarefatta quanto inquietante della realtà nel primo anno dell’euforia di libertà, anch’essa solo apparente ed effimera.
Wasilewski – anche sceneggiatore, considerato in patria ‘il regista delle donne’ – offre un riuscito quadro della Polonia di allora e un ritratto di donne, designato dal loro punto di vista, e dimostra di comprendere la psicologia e la sensibilità femminile attraverso la scelta accurata e la direzione delle sue attrici, tutte giuste e bravissime, appartenenti almeno a tre generazioni diverse e tutte divisi tra cinema e teatro.
Dal film trapela l’amore per i personaggi e per le sue interpreti. Gli interpreti maschili: Andrzej Chyra (Karol), Lukasz Simlat (Jacek) e Tomek Tyndyk (Ksiadz Adam). La, volutamente, sbiadita e cupa fotografia è del rumeno Oleg Mutu e il montaggio di Beata Walentowska. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 27 aprile distribuito da Cinema di Valerio De Paolis

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